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Libri

La procidana

Una figura del presepe napoletano del ‘700

di Elisabetta Montaldo

Editore: Nutrimenti
Data di pubblicazione: 3 gennaio 2015
ISBN:

Dove trovarlo:
libreria Nutrimenti
Via Roma, 54 – Procida
✆ 081 896 7440

Una nuova vita per la Procidana

Quasi scomparsa dalle collezioni delle statuette da Presepe settecentesco, la figura della Procidana acquista nuova vita nella collaborazione tra la studiosa di costume Elisabetta Montaldo e la bottega presepiale Cantone e Costabile.

Si realizzano due statue, una con il costume rosso della giovane e una con il costume verde dell’adulta.

Il Presepe Napoletano, inventario umano delle componenti del Regno esibito nei palazzi nobiliari, include la figura della procidana col suo sontuoso costume, questa femminile presenza era il simbolo della nuova borghesia mercantile del Regno della quale i nostri armatori erano entrati a far parte a pieno titolo.

La bottega Cantone e Costabile

Breve storia dell’antico abito delle procidane

Se vogliamo trovare un’origine a quest’abito dobbiamo ricordare le statuette delle sacerdotesse micenee abbigliate con lunga gonna e bustino che sostiene ed offre il seno. E’ infatti questa caratteristica che contraddistingue l’abbigliamento delle antiche abitatrici del Mediterraneo più tardi velata da camiciole di lino e tessuti leggeri.

Mediterranea è anche la decorazione di ricami in oro in auge nel medioevo arabo e bizantino che ricopre bustino e cappottino e orientali le sete a colori sgargianti che contraddistinguono il costume.

L’arte del ricamo in oro, perlopiù praticata da artigiani uomini, allora come oggi decorava gli abiti dei dignitari, dei sacerdoti e degli alti gradi militari. Fa eccezione l’abito delle procidane, così consacrate dai loro uomini a regine del mare. In una società marinara come quella procidana era la donna la mente di traffici ed armatoria essendo l’uomo impegnato a lavorare sull’acqua salata e questa per Procida è storia antica, ancor prima dei fenici qui si navigava ai tempi nei quali anche noi facevamo parte dei “popoli del mare”, così definiti dall’archeologia moderna.

Dopo varie vicende legate alla pirateria (che era in pratica la formazione di flotte indipendenti al soldo delle grandi potenze mediterranee, a Procida rappresentata dal governo delle famiglie dei grandi capitani di ventura quali di Da Procida, i Cossa, i Davalos) si ufficializza il ruolo dell’isola quale frontiera del Regno di Napoli.
Per la sua conformazione a baie e porti perfetti per il lavoro in darsena e l’accoglienza di flotte ma anche per la posizione strategica quale porta del golfo.

Così Procida accoglie fin dal seicento le corti straniere in visita per le quali si edificano confortevoli palazzi e, in attesa che passi la quarantena si offrono cacce e banchetti. E’ custodito da una famiglia dell’isola addirittura un abito di corte settecentesco palesemente ispirato al costume procidano.

Il Presepe Napoletano, inventario umano delle componenti del Regno esibito nei palazzi nobiliari, include per questo la figura della procidana col suo sontuoso costume. Ma più tardi questa femminile presenza starà anche a simboleggiare la nuova borghesia mercantile del Regno della quale i nostri armatori erano entrati a far parte a pieno titolo.

Nel sette e l’ottocento Procida è inclusa nel Grand Tour nel quale i giovani dell’aristocrazia europea andavano a scoprire il sud come culla della civiltà, ad esso partecipavano anche numerosi artisti, e la nostra isola vi viene immortalata dalla letteratura e dai quadri, giunti fino a noi, principalmente per lo straordinario abito delle sue donne ritratte in diversi dipinti e numerosi schizzi poi trasformati in stampe che avevano un loro ricco mercato nelle capitali europee fino ad incuriosire i pittori orientalisti che ne acquistavano alcuni capi da far indossare in patria alle loro modelle.

La massima popolarità dell’abito la troviamo nell’ottocento post napoleonico con l’episodio documentato di un ballo “a la procidaine” organizzato da Paolina per rallegrare il fratello in esilio all’isola d’Elba dove tutte le dame lo indossavano, e nel quadro a grandezza naturale della Foresteria di Palazzo Reale dove venivano ospitati i visitatori importanti e che conteneva segni delle eccellenze del Regno con il quale i rapporti d’affari con l’isola furono ristabiliti dopo la parentesi rivoluzionaria repubblicana.

Nel novecento le procidane abbandonarono il loro abito tradizionale per sposare la moda contemporanea ma i costumi settecenteschi e ottocenteschi venivano ancora indossati per matrimoni, battesimi e processioni fino agli anni quaranta.
Il costume però non scomparve del tutto dalla circolazione, infatti il regime fascista diede un forte impulso allo studio e all’esaltazione delle tradizioni popolari in chiave nazionalista. Si progettò a Roma il bel Museo delle arti e Tradizioni Popolari che si può visitare ancora oggi. E’ agli atti una lettera di Salvatore Di Giacomo al direttore nella quale lo esorta ad acquisire l’abito antico delle procidane per la collezione. Il Museo attualmente non lo annovera nei suoi reperti, forse era troppo bello e prezioso e sarà finito nella collezione di qualche notabile? Intanto sull’isola il giovane dott. Vittorio Parascandola che per tutta la vita studiò la cultura locale e fu, insieme al senatore Lubrano di Ricco, il massimo collezionista degli abiti antichi, decise di promuovere il costume istituendo la manifestazione dedicata a Graziella, personaggio del non eccelso ma popolarissimo romanzo di Alphonse De Lamartine. Le ragazze lo avrebbero indossato per una sera una volta all’anno e sarebbe stata premiata la più affine al personaggio lamartiniano. La manifestazione fu ed è tuttora molto seguita ma negli ultimi anni attraversa una crisi di partecipazione. Le famiglie dell’isola si stanno rendendo conto del valore dello splendido e costoso manufatto e sono restie a prestarlo per una serata che è diventata piuttosto movimentata con balli e scenette e forse anche le giovani non sono più tanto interessate a partecipare.

Ma, come sempre nella sua storia, l’identità procidana risorge dalle ceneri.
E’ del 2008 il successo del libro “L’oro del mare” realizzato da me con la collaborazione storica della prof. Tilde Sarnico che illustra e racconta il costume antico delle procidane.

A seguire il Comune di Procida ha voluto appoggiare la mia iniziativa di creare una copia esatta del costume settecentesco impegnando le due superstiti ricamatrici dell’oro Melina Del Giglio e Maddalena Costagliola di Polidoro per resuscitare un artigianato raffinatissimo defunto due secoli fa. Il prototipo è stato realizzato ed esposto e decine di famiglie procidane ne hanno ordinato numerosi esemplari da tramandare ancora di madre in figlia. Le ricamatrici faticano ad eseguire gli ordini che le assillano.

Grazie alla casa editrice Nutrimenti, che ha di recente promosso una libreria sull’isola, si sono editati un piccolo libretto “la Procidana nel Presepe Napoletano” e il calendario Procidane 2016 nel quale sono ritratti, in splendide foto di Donatella Pandolfi, interi gruppi familiari che indossano gioiosamente l’abito antico, un’altra prova di quanto i procidani tengano alla loro identità culturale espressa dal costume che racconta la loro storia.

Ma l’impresa non è conclusa.

E’ di pochi giorni fa l’adesione delle scuole dell’isola al progetto Unesco sul turismo culturale proposto dalle istituzioni scolastiche nel mondo e si partirà proprio dal costume quale testimonianza della storia ma anche dell’economia dell’isola.

L’obiettivo finale è la tutela Unesco del ricamo in oro che a tali livelli di raffinatezza solo qui nel mondo è sopravvissuto come bene immateriale dell’umanità. Questo porterebbe all’incentivare una scuola internazionale di quest’arte minacciata che potrebbe trovare un’impiego nell’alta moda e nel restauro storico degli antichi manufatti di tutti i tempi e paesi.